12 anni. Dicono sia un’età difficile, ad un passo dalla pubertà. Io a 12 anni andavo a vedere le partite di baseball. C’ero già andato anche prima perché fino a 12 anni, al Gianni Falchi, si entrava gratis anche senza essere accompagnati da un adulto. Andavamo io e alcuni amici, quelli con cui si “palleggiava” in cortile con una pallina da tennis che allora erano bianche e non gialle come quelle di oggi e dopo un po’ che le usavi perdevano il pelo che le ricopriva e diventavano color corda, solo in quel momento erano buone per essere “palleggiate”. Non avevamo guantoni, il più fortunato di noi se ne era fatto fare uno da suo padre che aveva utilizzato un guanto da giardinaggio e delle strisce di pelle a simulare le cuciture, per le basi si utilizzava quel che si trovava in giro, le più gettonate erano le scatole portauova che, sempre in quegli anni attorno il 1963 erano grandi e potevano contenerne ben 24, di uova, la mazza era fatta con il frassino, levigata da mio padre, un po’ grossa nell’impugnatura, ma indistruttibile, e questo contava moltissimo visto che era l’unica mazza che possedevamo.
Si andava a vedere la partita come se si andasse ad una festa, ci si preparava fin dalle prime ore del pomeriggio e poi si facevano a piedi quei 3 chilometri fino al campo, si discuteva di baseball senza averne una particolare cognizione, addirittura non si sapeva nemmeno chi era la squadra ospite, ma ci si andava lo stesso, ed eravamo contenti. Si partiva da casa quasi un’ora e mezza prima dell’orario di inizio della partita. Una volta sul posto si saltava la fila (sì, c’era la fila al botteghino, ve lo giuro) e ci si presentava davanti a quel signore che con le sopracciglia aggrottate ti scrutava per definire la tua reale età. Di solito riuscivamo ad entrare anche con i 12 anni compiuti, ma la cosa diventava sempre più ardua e si doveva discutere un po’. Decidemmo infine che non ne valeva più la pena di star lì a sbatterci per convincere la “maschera” (quel signore che strappa i biglietti di ingresso) ed allora pensammo ad un altro sistema che ci desse ugualmente la possibilità di vedere la partita senza pagare, soprattutto in considerazione del fatto che nessuno di noi aveva una lira in tasca. Dapprima provammo a salire in bicicletta sulla collina al di là del fiume Savena, in zona Ponticella, dove, dal campo, vedevamo spesso tante persone sedute sull’erba, ma una volta là rimanemmo delusi. A parte la notevole distanza che non ci permetteva di vedere i lanci, c’erano alcuni alberi che ci toglievano la visuale sugli esterni per cui potevi solo immaginare cosa stesse accadendo su una battuta lunga, affidandoti alle esclamazioni degli spettatori. No, quel posto era fresco (di sera anche troppo fresco), ma non faceva per noi.
Bruno ebbe l’idea. Passando lungo il fiume, vicino gli orti dei pensionati, attraversando il campo di un contadino, si sarebbe arrivati a ridosso della recinzione del campo, proprio a due passi dall’esterno centro, vicino al tabellone del punteggio, che allora non era elettronico. Tutto OK, ma c’era un problema. Il problema era un energumeno “pagato” dalla Fortitudo che aveva il compito di scovare i “portoghesi” e perciò perlustrava ogni centimetro del perimetro esterno del campo .
Bene, eravamo tutti d’accordo, sabato sera sarebbe stato il nostro giorno X. Il cuore batteva forte mentre costeggiavamo l’argine del fiume Savena lungo il sentiero dei pensionati. Per passare dal contadino bisognava superare una staccionata con il doppio filo spinato, avevamo le braghe corte e bisognava stare molto attenti a non ferirsi per non prendere il tetano. “Avanti venite”, Bruno il temerario, quello che non aveva paura di nulla, quello che si era buttato, per scommessa, dal secondo piano di un palazzo in costruzione, fratturandosi una gamba, quello che si era rotto entrambi i polsi cadendo i bicicletta, quello che si era ficcato in gola la canna di un fucile giocattolo, quello che salendo le scale si era tagliato di netto un pezzo di lingua, ecco, lui, in queste marachelle, era il nostro “tutor”. “Avanti, per di qua!”, non si vedeva un tubo, potevamo scegliere un giorno di luna piena, no?, ma Sergio aveva detto che quello era il giorno migliore se no ci avrebbero beccato. Le luci dei fari sul diamante si facevano sempre più vicine. In pochi minuti ci trovammo a ridosso della rete degli esterni, tutti sdraiati a pancia in giù a guardare la partita. A che inning saremo?, ma chissenefrega, Ragazzi, stiamo vedendo gratis il baseball !! Gianni aveva portato il pop-corn fatto da sua madre ed io avevo con me la borraccia con il Chinotto.
12 anni, dicono che sia un’età difficile. 12 anni, un’età Fantastica.